Faccio una premessa: in questo articolo potrò sembrare “duro” ma ritengo che amore non significhi sempre dire “va bene”. Molte volte son le persone che, guardandoci seriamente dritto negli occhi, ci dicono “stai sbagliando”, quelle che più ci vogliono bene… Vi prego quindi di astenere il vostro giudizio durante la lettura così dal potervi aprire a una visione diversa anche se, per alcuni tratti, scomoda. La verità e l’amore spesso ci pongono di fronte a pensieri e comportamenti che non siamo abituati a sostenere (pensiamo ad esempio al fatto che, amare una persona, non voglia dire possederla ma lasciarla libera, anche se questo la porterà lontano da noi).
In questi anni è divampata nella nostra cultura l’idea che, per vivere bene e attirare a sé belle cose, basti pensare positivo. Molti siti di crescita personale e supposti guru del benessere inneggiano al successo perseguibile attraverso una forzata predisposizione al PENSARE POSITIVO, all’evitare i pensieri più tristi e problematici che si affollano nella nostra mente sostituendoli attivamente con pensieri di gioia. Semplicizzando: se vedi il bicchiere mezzo vuoto la tua vita non potrà essere che tale, quindi, pensa al bicchiere come mezzo pieno e la tua vita non potrà che essere felice. Un pensiero molto allettante soprattutto per chi soffre ed è frustrato dalla propria vita. Una soluzione semplice che, proprio per questo, ha fatto milioni di proseliti fra noi, italiani e non. Il problema è che NON FUNZIONA veramente. Potremmo anche trarre qualche iniziale beneficio dal forzarci a pensare in modo positivo, dal nascondere la polvere sotto gli armadi ma, prima o poi, quella polvere, che sia per correnti d’aria o per la limitata superficie dei nostri armadi, verrà fuori e sarà ben di più di quella che vi era quando abbiamo iniziato ad accumularla.
Son certo che molte delle persone che inneggiano al “pensare positivo” lo facciano in buona fede: non possiamo guidare altre persone se non ove siamo giunti noi stessi e se, ammalati dall’iniziale beneficio abbiamo confuso esso con la serenità, non potremmo che sostenerlo con tutte le nostre forze. Anche perché metterlo in dubbio non può far altro che velocizzare quel processo che porta la polvere a invaderci nuovamente. Ecco allora che, quello che abbiamo iniziato quasi per gioco, diventa una necessità che non ci lascia più liberi: dobbiamo continuare con forza a mettere la polvere sotto gli armadi, a relegare la tristezza nella cantina più oscura, anche se questo ci costa un perenne sforzo e una continua fuga dalla nostra vita quotidiana, sempre più fonte di frustrazione. E’ così che spesso ci si ritrova a vivere in funzione del week end, delle vacanze, della palestra, del surf, o di qualsivoglia attività capace di allontanarci da quei pensieri quotidiani che ci stressato e ci rendono tristi.
Molti ritengono che un tale “pensare positivo” sia una concezione che deriva da quella saggia e millenaria cultura orientale che spesso, ultimamente, diventa un faro per noi occidentali che ci siamo resi conto di come il materialismo, il comfort e le comodità che susseguono, non ci abbia condotto alla serenità. Mi sovviene affermare che, purtroppo, tale interpretazione della mistica orientale è SBAGLIATA. Nessun vero yogin, guru, maestro zen o illuminato darebbe mai un ruolo così preponderante al nostro pensiero, o attività cognitiva. Purtroppo, nell’interpretazione che dilaga nella nostra società si è confuso un livello di pensiero con una predisposizione interiore. Se ci si può obbligare a pensare in un certo modo, superficialmente, per più e più volte, non ci si può obbligare a essere predisposti a un livello profondo in una determinata maniera. E’ ovvio pensare che una “buona” predisposizione interiore dia vita a un pensiero positivo ma, anche se può avere una certa logica, non è così semplice e diretta la strada opposta, quella che, partendo dai nostri pensieri, conduce a una disposizione profonda. Possiamo obbligarci per anni a pensare positivo ma non ottenere alcun cambiamento a livello profondo. Abbiamo chiamato pre-disposizione l’aspetto interiore/profondo proprio perché il pensiero ne è una conseguenza quindi, la disposizione interiore viene prima di esso. I nostri pensieri sono espressione di una coerenza “profonda”. La chiamiamo profonda perché non è quasi mai consapevole e abbisogna di tempo e “sforzi” per divenire tale, come se dovessimo percorrere una strada che, dalla superficie, conduce alla profondità di noi stessi.
L’effetto nefasto di questa nuova “religione” che ci spinge a pensare positivo è che la polvere aumenta anche se rischiamo di non vederla. La sofferenza, la frustrazione, lo stress, anche se non lo vediamo, crescono in noi. Molto spesso questo conduce a improvvisi momenti d’ansia, a un aumento dei mal di stomaco, mal di testa, influenze, allergie, ecc, e a una maggior necessità di doversi svagare, divertire, uscire, assumere sostanze, non pensare attraverso attività che, sempre più, nella nostra incoscienza, decretano uno stato di non libertà dell’individuo. IL CORPO E LA MENTE NON SONO DUE ENTITà SEPARATE MA PUNTI DI VISTA DIVERSI SU NOI STESSI. La cantina e gli armadi in cui releghiamo sofferenza e polvere non sono luoghi “altri” da noi, ma “spazi” sempre della stessa casa, inutile quindi relegare nulla: se il nostro intento è quello di essere felici e non soffrire dobbiamo riuscire a far uscire la polvere e la sofferenza dalla porta di casa, non nasconderle da qualche parte perché, ovunque le nasconderemo, saranno sempre nella nostra casa.
Anche INTERNO ED ESTERNO NON SONO DUE ENTITà SEPARATE, spesso quindi, per far comprendere un concetto, mi avvalgo della possibilità di utilizzare l’osservazione di quella che chiamiamo “realtà esterna”. Se osserviamo la situazione esterna dell’Italia, o più semplicemente della nostra vita, possiamo forse renderci meglio conto dove conduce il “pensiero positivo”: a non affrontare i problemi. In Italia, ma anche in molti altri paesi, siamo maestri in questo: la situazione sociale e politica è a livelli incresciosi ma, troppi di noi, continuano a non preoccuparsene più di tanto, alla fin fine riescono ancora ad andare a cena fuori, a farsi un aperitivo o una bella serata con gli amici, ecc e, a sottrarci da una possibile responsabilità vi è sempre il dolce pensiero “non posso farci nulla”, “non dipende da me”. La conseguenza è che la situazione peggiora. Questo è un piccolo esempio che mette in evidenza solo un aspetto di una realtà ben più ampia, invito il lettore a non soffermarcisi troppo, è ovvio che la situazione è più varia e complessa ma, come una metafora, esso tende a evidenziare un aspetto della realtà, non tutta la realtà. Tale aspetto è appunto quello espresso dal fatto che, nonostante la situazione politica e sociale dipenda da quello che ognuno di noi fa ogni giorno, nonostante essa non ci renda soddisfatti e sereni, ben poco facciamo per cambiarla, altrimenti sarebbe diversa. Più spesso passiamo da un “lamentarci e indignarci” che ci intristisce, a un “non pensarci” proprio (per non arrabbiarci o intristirci), facendo altro, il ché ci “dona” una superficiale parvenza di serenità.
Torniamo adesso al versante individuale. Abbiamo sottolineato come il “pensare positivo” non ci conduca ove veramente vogliamo andare: la serenità. Non vogliamo però enfatizzarlo come fosse un demone da distruggere. Se la nostra cultura sta passando per questo sentiero dobbiamo pensare che, in qualche modo, ci sia utile: esso ci aiuta a mettere in risalto il problema. Il vero problema, nostro e di questa umanità, è che nelle nostre case vi è molta polvere, nei nostri cuori molta sofferenza, nelle nostre menti molti pensieri negativi. E’ forse triste e fonte di nuova sofferenza prenderne atto ma dobbiamo farlo se vogliamo migliorare la nostra situazione. Questo non tanto perché lo dico io, che alla fin fine non sono nessuno se non un altro essere umano come voi, ma perché, se guardiamo alla nostra vita e al nostro ambiente, possiamo umilmente renderci conto che, la strada percorsa sino ad adesso, non ci ha condotto ove speravamo quando l’abbiamo imboccata.
Abbiamo detto che la “disposizione interiore” è cosa ben diversa dalla nostra “attività di pensiero”. Ma come facciamo a migliorare la nostra coerenza interna se non attraverso un’azione diretta che miri a cambiare i nostri pensieri? Attraverso un’azione indiretta che conduca, come conseguenza, a sgombrare la cantina e a rimuovere la polvere da sotto gli armadi. Il primo passo è sempre quello di prendere consapevolezza della polvere, della sofferenza. Il secondo è quello di accoglierla, accettarla, comprenderla. Se vi è una sofferenza, se vi è un problema, esso parla di noi. Non mi dilungherò adesso su questo ma mi propongo di scrivere un’altro articolo sullo stesso argomento: noi siamo attivi in ogni cosa che viviamo e che ci succede, ogni sofferenza e problema che incontriamo nel nostro vivere “parla” di noi stessi e di come ci viviamo a un livello profondo. Non sono gli eventi esterni la causa della nostra sofferenza, dei nostri pensieri negativi, ma come noi li facciamo nostri, e questo dipende dalla nostra coerenza che filtra e interpreta la supposta realtà in una determinata maniera. Solo coltivando la PRESENZA A NOI STESSI, la consapevolezza, possiamo, di conseguenza, aprirci alla possibilità di cambiare la nostra disposizione profonda, il nostro equilibrio interno. Per coltivare tale Presenza dobbiamo mutare direzione anche a un livello superficiale e, invece che distrarci dai problemi attraverso un pensiero positivo, prenderne atto e affrontarli. Spesso vediamo i problemi e la sofferenza come qualcosa di insormontabile: non è così. Ogni essere umano è nella possibilità di affrontare se stesso ed evolvere. La vita è questa possibilità quindi, se siamo vivi, vuol dire che possiamo farlo. Non abbiamo nulla da perdere: un giorno la morte ci coglierà comunque ma, quello che fa la differenza, è giungere pronti a quel momento, avendo veramente sfruttato questa possibilità utilizzando le nostre forze ed energie per migliorare la propria vita. La morte spaventa solo chi è abituato a fuggire dai propri problemi, chi non li utilizza come espediente per migliorarsi ed evolvere. Il nostro “pensare positivo”, che ci induce a spostare l’attenzione dalla nostra tristezza e frustrazione, “parla” solo della grande difficoltà che proviamo quando ci troviamo dinnanzi ai problemi della nostra vita, alla nostra sofferenza. Tale difficoltà non va negata ma accettata. Se la accettiamo e accogliamo possiamo comprendere come essa rimandi, spesso e sovente anche se non ne siamo consapevoli, a una visione profonda di noi stessi caratterizzata da un “non ce la faccio”. Son certo che molti non la sentiranno ed è inutile obbligarsi a sentirla, vi chiedo solo di non precludere una tale possibilità a voi stessi, di non giudicare quello che avete letto ma di portarlo con voi, così come spesso portiamo nei nostri viaggi molte cose in attesa che ci siano utili, anche se al momento non lo sono. Una felpa può servirci per riparaci dal freddo. Solitamente quando viaggiamo, anche se siamo diretti verso un paese caldo, ne portiamo una con noi. Spesso non la useremo ma, altrettanto spesso, quando pensiamo che non ci servirà, si verificano delle condizioni per cui la rimpiangiamo. Vi prego quindi di portare con voi questi pensieri, di non dire “a me non riguardano”, oppure “sono tutte cazzate”…. magari lo sono, ma magari no e, un giorno, potranno esservi utili per dirigere la prua della vostra barca verso una nuova rotta anche se il vostro, nostro, obbiettivo rimarrà sempre lo stesso: essere Felici.